Autori

Il testo della narrazione che accompagna i viaggiatori è costellata da brani tratti da opere letterarie di autori, sardi e non, che hanno saputo dipingere la Sardegna con la loro penna.

GRAZIA DELEDDA

foto_Grazia-Deledda
(Nuoro 1871 – Roma 1936)
Grazia Deledda nacque a Nuoro il 27 settembre 1871, quinta di sette tra figli e figlie, in una famiglia benestante.
Il padre, Giovanni Antonio Deledda, aveva studiato legge, ma non esercitava la professione. Era un imprenditore e agiato possidente, si occupava di commercio e agricoltura; si interessava di poesia e lui stesso componeva versi in sardo, aveva fondato una tipografia e stampava una rivista. Fu sindaco di Nuoro nel 1892. La madre era Francesca Cambosu. Dopo aver frequentato le scuole elementari fino alla classe quarta, Grazia Deledda venne seguita privatamente da un professore ospite di una parente della famiglia Deledda che le impartì lezioni di base di italiano, latino e francese (i costumi del tempo non consentivano alle ragazze un’istruzione oltre quella primaria e, in generale, degli studi regolari). Proseguì la sua formazione totalmente da autodidatta. Importante per la formazione letteraria di Grazia Deledda, nei primi anni della sua carriera da scrittrice, fu l’amicizia con lo scrittore, archivista e storico dilettante sassarese Enrico Costa che per primo ne comprese il talento. La famiglia venne colpita da una serie di disgrazie: il fratello maggiore, Santus, abbandonò gli studi, divenne alcolizzato e affetto da delirium tremens, il più giovane, Andrea, fu arrestato per piccoli furti. Il padre morì per una crisi cardiaca il 5 novembre 1892 e la famiglia dovette affrontare difficoltà economiche. Quattro anni più tardi morì anche la sorella Vincenza.
Nel 1888 inviò a Roma alcuni racconti, Sangue sardo e Remigia Helder, furono pubblicati dall’editore Edoardo Perino sulla rivista “L’ultima moda”, diretta da Epaminonda Provaglio. Sulla stessa rivista venne pubblicato a puntate il romanzo Memorie di Fernanda.
Nel 1890 uscì a puntate sul quotidiano di Cagliari L’avvenire della Sardegna, con lo pseudonimo Ilia de Saint Ismail, il romanzo Stella d’Oriente, e a Milano, presso l’editore Trevisini, Nell’azzurro, un libro di novelle per l’infanzia.
Deledda incontrò l’approvazione di letterati come Angelo de Gubernatis e Ruggero Bonghi, che nel 1895 accompagnò con una sua prefazione l’uscita del romanzo Anime oneste.
Collabora con riviste sarde e continentali: “La Sardegna”, “Piccola rivista” e “Nuova Antologia”.
Fra il 1891 e il 1896 sulla Rivista delle tradizioni popolari italiane, diretta da Angelo de Gubernatis venne pubblicato a puntate il saggio Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, introdotto da una citazione di Tolstoi, prima espressione documentata dell’interesse della scrittrice per la letteratura russa. Seguirono romanzi e racconti di argomento isolano. Nel 1896 il romanzo La via del male fu recensito in modo favorevole da Luigi Capuana.
Nel 1897 uscì una raccolta di poesie, Paesaggi sardi edito da Speirani.
Nell’ottobre del 1899 la scrittrice si trasferì a Roma. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari. A Roma condusse una vita appartata. Ebbe due figli, Franz e Sardus.
Nel 1903 la pubblicazione di Elias Portolu la confermò come scrittrice e l’avviò ad una fortunata serie di romanzi ed opere teatrali: Cenere (1904), L’edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L’incendio nell’oliveto(1918), Il Dio dei venti (1922). Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.
La sua opera fu apprezzata da Giovanni Verga oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi, Antonio Baldini.[6] Fu riconosciuta e stimata anche all’estero: D.H. Lawrence scrive la prefazione della traduzione in inglese de La madre. Grazia Deledda fu anche traduttrice, è sua infatti una versione di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.
Nel 1926 le venne conferito il premio Nobel per la letteratura.
Un tumore al seno di cui soffriva da tempo la portò alla morte il 15 agosto 1936.
Le spoglie di Deledda sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Madonna della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene di Nuoro.
Lasciò incompiuta la sua ultima opera Cosima, quasi Grazia, autobiografica, che apparirà in settembre di quello stesso anno sulla rivista Nuova Antologia, a cura di Antonio Baldini e poi verrà edita col titolo Cosima.
La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.

ELIO VITTORINI

Elio-Vittorini
(Siracusa 1907 – Milano 1966).
Autore agli inizi oscillante tra i toni di una memoria proustiana e quelli di un realismo spesso crudo, V. finì per elaborare una forma di racconto fra il reale e il simbolico, dove si avverte l’influsso dei narratori americani e dove una liricità quasi ermetica si accorda con il parlato proprio della rappresentazione oggettiva. Tra i romanzi: Uomini e no (1945), Le donne di Messina (1949), Le città del mondo (postumo, 1969).
Da ragazzo fece l’operaio; si rivelò intorno al 1927, nell’ambiente fiorentino di Solaria; dopo la Liberazione diresse a Milano la rivista Il Politecnico (1945-47), di tendenza comunista; poi, presso l’editore Einaudi, la collezione letteraria I gettoni, che rivelò alcuni scrittori nuovi; infine la collezione Medusa dell’editore Mondadori e, con I. Calvino, i quaderni di letteratura Il menabò. Nei suoi primi racconti (Piccola borghesia, 1931; Il garofano rosso, 1933-35, ma raccolto in vol. nel 1948; Nei Morlacchi – Viaggio inSardegna, 1936) egli rimase ancora incerto fra i toni di una memoria proustiana e quelli di un realismo spesso crudo e documentario; ma con Conversazione in Sicilia (1941), cominciò a trarre dal mondo dei ricordi mitiche figurazioni della vita dell’uomo e soprattutto del mondo “offeso” dal male e anelante alla libertà degli istinti. E, insieme, cominciò ad attuare una forma di racconto fra il reale e il simbolico, fra la memoria e la fantasia, fra l’intonazione umoresca e il clima tragico, dove ben si avverte l’influsso di quei narratori americani, da Faulkner a Saroyan, di cui egli è stato assiduo traduttore; e dove, appunto, nei modi di una “confessione” cantilenante e iterativa, si accordano spesso le esigenze del racconto puro. Dopo Uomini e no, romanzo ispirato alla Resistenza italiana, nel quale l’immediatezza del contenuto lo portava a estreme crudezze verbali, V. ritrovò in parte questo accordo nel racconto Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus (1947), nel romanzo Le donne di Messina e nel racconto La garibaldina(pubbl. con Erica e i suoi fratelli, 1956). Raccolse i suoi scritti critici, letterari e di costume in Diario in pubblico (1957; ed. ampl., post., 1970). Postumi sono stati pubblicati inoltre: Le due tensioni. Appunti per una ideologia della letteratura (a cura di D. Isella,1967); Nome e lagrime e altri racconti (a cura di R. Rodondi, 1972); la raccolta delle Opere narrative (a cura dello stesso, 2 voll.,1974); e, dall’epistolario: Gli anni del “Politecnico”. Lettere 1945-1951 (a cura di C. Minoia, 1977); I libri, la città, il mondo. Lettere1933-1943 (a cura dello stesso, 1985). A cura di S. Pautasso è apparso il romanzo giovanile inedito Il brigantino del papa (1985).

CARLO LEVI

carlo-levi

(29 novembre 1902, Torino – 4 gennaio 1975, Roma)

Nasce da Ercole Raffaele e Annetta Treves, un’agiata famiglia ebraica della borghesia torinese e fin da ragazzo dedica molto tempo alla pittura, che coltiverà con gran passione per tutta la vita, raggiungendo anche importanti successi. Sua sorella maggiore è la neuropsichiatra infantile Luisa Levi.
Dopo avere terminato gli studi secondari presso il liceo Alfieri[1], si iscrive alla facoltà di medicina all’Università di Torino. Nel periodo degli studi universitari, per il tramite dello zio, l’onorevole Claudio Treves (figura di rilievo nel Partito Socialista Italiano), conosce Piero Gobetti, che lo invita a collaborare alla sua rivista La Rivoluzione liberale e lo introduce nella scuola di Felice Casorati, intorno alla quale gravita l’avanguardia pittorica torinese.
Levi, inserito in questo contesto multiculturale, ha modo di frequentare personalità come Cesare Pavese, Giacomo Noventa, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi e, più tardi, importante per la sua evoluzione pittorica, Edoardo Persico, Lionello Venturi, Luigi Spazzapan. Nel 1923 soggiorna per la prima volta a Parigi, dove viene a contatto per la prima volta con le opere dei Fauves, di Amedeo Modigliani e di Chaïm Soutine, leggendovi un incitamento alla ribellione contro la retorica fascista e la cultura ufficiale italiana[2]. Durante questo viaggio, scrive anche il primo articolo sulla sua pittura nella rivista L’Ordine Nuovo. Si laurea in medicina nello stesso anno e rimarrà alla Clinica Medica dell’Università di Torino come assistente fino al 1928, ma non eserciterà la professione di medico, preferendo definitivamente la pittura e il giornalismo. La profonda amicizia e l’assidua frequentazione di Felice Casorati orientano la prima attività artistica del giovane Levi, con le opere pittoriche Ritratto del padre (1923) e il levigato nudo di Arcadia, con il quale partecipa alla Biennale di Venezia del 1924. Dopo altri soggiorni a Parigi, dove aveva mantenuto uno studio, la sua pittura, influenzata dalla Scuola di Parigi, subisce un ulteriore cambiamento stilistico, proseguito poi con la conoscenza, tra il 1929 e il 1930, diModigliani. Con il sostegno di Edoardo Persico e Lionello Venturi, alla fine del 1928 prende parte al movimento pittorico cosiddetto dei sei pittori di Torino, insieme a Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell, che lo porterà a esporre in diverse città in Italia e anche in Europa (Genova, Milano, Roma, Londra, Parigi).
Levi, per una precisa posizione culturale coerente con le sue idee, considerava espressione di libertà la pittura, in contrapposizione non solo formale, ma anche sostanziale alla retorica dell’arte ufficiale, secondo lui sempre più sottomessa al conformismo del regime fascista e al modernismo ipocrita del movimento futurista.
Nel 1931 si unisce al movimento antifascista di “Giustizia e libertà”, fondato tre anni prima da Carlo Rosselli. Per sospetta attività antifascista, nel marzo 1934 Levi viene arrestato, e l’anno successivo, il 15 maggio 1935 su segnalazione dello scrittore Dino Segre[3] fu colpito da un secondo arresto, condannato al confino, nel paese lucano di Grassano e successivamente trasferito nel piccolo centro di Aliano, in provincia di Matera.[4] Da questa esperienza nascerà il suo romanzo più famoso, Cristo si è fermato a Eboli (nel racconto, il paese viene chiamato Gagliano imitando la pronuncia locale). Tale romanzo nel 1979 verrà anche adattato per il cinema e la televisione da Gillo Pontecorvo e Francesco Rosi, con Gianmaria Volonté nei panni di Carlo Levi.
Nel 1936 il regime fascista, sull’onda dell’entusiasmo collettivo per la conquista etiopica, gli concede la grazia, e lo scrittore si trasferisce per alcuni anni in Francia, dove continua la sua attività politica. Rientrato in Italia, nel1943 aderisce al Partito d’azione e dirige insieme ad altri Azionisti La Nazione del Popolo, organo del Comitato di Liberazione della Toscana.
Nel 1945 Einaudi pubblica Cristo si è fermato a Eboli, scritto nei due anni precedenti. In esso Levi denuncia le condizioni di vita disumane di quella popolazione contadina, dimenticata dalle istituzioni dello Stato, alle quali “neppure la parola di Cristo sembra essere mai giunta”. La risonanza che avrà il romanzo mette in ombra la sua attività di pittore: ma la stessa pittura di Levi viene influenzata dal suo soggiorno in Basilicata (sotto il fascismo chiamata Lucania), diventando più rigorosa ed essenziale e fondendo la lezione di Modigliani con un sobrio, personale realismo. Sempre nel 1945 Carlo Levi intreccia una relazione amorosa – che sarà trentennale – conLinuccia Saba, l’unica figlia di Umberto.
Levi continuerà nel dopoguerra la sua attività di giornalista, in qualità di direttore del quotidiano romano Italia libera, partecipando a iniziative e inchieste politico-sociali sull’arretratezza del Mezzogiorno d’Italia, e per molti anni collaborerà con il quotidiano La Stampa di Torino.
Nel 1954 aderisce al gruppo neorealista e partecipa alla Biennale di Venezia con apprezzabili dipinti, in chiave realistica come la sua narrativa. Dopo Cristo si è fermato a Eboli, di grande interesse sono Le parole sono pietre, del 1955, sui problemi sociali della Sicilia (vincitore nel 1956 del Premio Viareggio), Il futuro ha un cuore antico (1956), Tutto il miele è finito (1965), e L’orologio, pensosa e inquieta cronaca degli anni della ricostruzione economica italiana (1950).
Nel 1963, per dare peso alle sue inchieste sociali sul degrado generalizzato del paese, e mosso dal desiderio di contribuire a modificare una politica stratificata su un immobilismo di conservazione di certi diritti acquisiti anche illegalmente, passa dalla teoria alla pratica e, convinto dagli alti vertici del partito comunista, incomincia a svolgere politica attiva. Candidato a un seggio senatoriale, viene eletto per due legislature Senatore della Repubblica (la prima volta nel collegio di Civitavecchia, nel secondo mandato nel collegio di Velletri) come indipendente del Partito comunista italiano.
Nel gennaio 1973 subisce due interventi chirurgici per il distacco della retina. In stato temporaneo di cecità riuscirà a scrivere Quaderno a cancelli, che sarà pubblicato postumo nel 1979 senza la parte finale recentemente recuperata dallo studioso D. Sperduto, e a tracciare 146 disegni.
Muore a Roma il 4 gennaio 1975. La salma dello scrittore torinese riposa nel cimitero di Aliano, dove volle essere sepolto per mantenere la promessa di tornare, fatta agli abitanti, lasciando il paese. In realtà Levi tornò più volte in terra di Basilicata nel secondo dopoguerra. Ne sono testimonianza le numerose foto custodite nella pinacoteca dedicatagli nel comune di Aliano che lo ritraggono nelle varie località della provincia di Matera assieme a suoi amici personali e assieme agli stessi personaggi protagonisti del libro.

H.D. LAWRENCE

DH Lawrence
David Herbert Lawrence – Romanziere, poeta e critico, nato a Eastwood (Nottinghamshire) l’11 settembre 1885, morto a Vence (dipartimento del Varo, Francia) il 2 marzo 1930. Quartogenito di un minatore, a tredici anni vinse una borsa di studio che gli permise di frequentare la Nottingham High School. A sedici anni s’impiegò in una fabbrica di strumenti chirurgici (ambiente che descriverà nel romanzo Sons and Lovers) per lasciarla poco dopo per un posto d’insegnante a Eastwood (l’ambiente di The Rainbow). A diciotto anni s’iscrisse all’università di Nottingham per ottenere il diploma d’insegnante, e cominciò a scrivere il suo primo romanzo, The White Peacock. Ottenuto il diploma, insegnò a Croydon e dedicò il tempo libero alla composizione di poesie, saggi, racconti. Incontrò Ford Maddox Hueffer che gli fece pubblicare The White Peacock (1911), e Edward Garnett che doveva aiutarlo molto nei suoi rapporti con gli editori. Lasciò la scuola di Croydon dopo due anni e si dedicò interamente alla carriera letteraria. Nel dicembre del 1911 apparve la prima minaccia della malattia (etisia) della quale infatti egli doveva morire. A Nottingham incontrò la moglie d’un professore, una tedesca, Frieda von Richthofen, che, quando fu divorziata, egli sposò nel luglio 1914. Con lei si recò in Baviera e sul lago di Garda nel 1912 (il lago di Garda gli ispirò Twilight in Italy). Pubblicò nel 1912 The Trespasser (che doveva avere dapprima il titolo The Saga of Siegmund) e nel 1913 Love Poems and Others e Sons and Lovers. Da questo periodo in poi cambiò spesso di soggiorno, ora vivendo in Inghilterra, ora in Italia, con frequenti soste in Germania. Dal settembre 1913 al giugno 1914 fu a Lerici; poi in patria durante la guerra. Pubblicò The Rainbow nel 1915, a cui doveva far seguitoWomen in Love nel 1921, Amores e Twilight in Italy nel 1916. Negli anni 1919-21 fu a Firenze, a Capri, a Taormina, visitò la Sardegna, che gli fornì argomento per Sea and Sardinia (New York 1921, Londra 1923). A questo periodo appartengono gli scritti:Psychoanalysis and the Unconscious, 1921, e Fantasia of the Unconscious, 1922. Nel 1921 pubblicò pure, con pseudonimo,Movements in European History. Invitato dalla scrittrice americana Mabel Dodge Luhan a recarsi a Taos (New Mexico), vi giunse nel 1922 dopo un giro a Ceylon e in Australia. L’ambiente australiano è descritto in Kangaroo (1923), mentre il soggiorno fiorentino gli ispirò Aaron’s Rod (1922); le esperienze messicane, sia nel Nuovo sia nel Vecchio Messico (fu a Oaxaca nel 1924, nel suo secondo viaggio al Messico), sono descritte nello squisito libro d’impressioni Mornings in Mexico (1927) e nel romanzo The Plumed Serpent (1926). L’attività di questi anni è considerevole: The Ladybird (1923), England, My England (1924), St Mawr e The Woman who rode away (1925). Nel 1926, in una lunga introduzione a Memoirs of the Foreign Legion di M. Magnus, diede un vivacissimo quadro dell’ambiente di Malta. Fu a Spotorno nel 1926, poi a Scandicci (Firenze), alla Villa Mirenda, ove cominciò Lady Chatterley’s Lover, che riscrisse tre volte e pubblicò a Firenze (1928). Il bando della censura inglese e americana a Lady Chatterley’s Lover (già nel 1915 The Rainbow era stato soppresso), e lo scandalo provocato dall’esposizione dell’opera pittorica di Lawrence alle Warren Galleries a Londra (1929), contribuirono a far molto rumore intorno al romanziere e diedero luogo a polemiche (il Lawrence scrisse in proposito due apologie, Pornography and Obscenity, 1929, e A propos of Lady Chatterley’s Lover, 1930). Nel 1928 il L. si stabilì a Bandol (Varo), ma viaggiò ancora, in Svizzera, a Maiorca, in Germania; nel 1929 pubblicò un libro di versi, Pansies; si spense a Vence, presso Bandol, ed è sepolto colà.
Carattere comune ai libri del L. è una fondamentale irrequietezza, conseguenza d’un profondo dissidio interiore, essendo la sua una natura di uomo attivo inchiodata, per un capriccio di natura, su un punto morto di contemplazione. Intellettuale, anela alla vita istintiva e denuncia il corrompimento portato dal progresso e dall’intellettualismo, e finisce per crearsi una religione nuova (un naturismo mistico affine a quello del Rousseau e a quello del Blake) che fa centro della vita il divino mistero dell’esperienza sessuale, che sola impartisce una conoscenza immediata, non-mentale. La veemenza dei suoi attacchi contro il mondo moderno fa pensare a un puritano invertito. Se questa parte apologetica e polemica, salutata da alcuni come un nuovo vangelo, rappresenta dal punto di vista artistico un peso morto, che va accentuandosi nelle ultime opere, resta pur sempre nei volumi del L. tanta freschezza d’impressioni di natura e tal felice penetrazione di caratteri e di situazioni, da meritargli un posto tra i più grandi scrittori moderni. Lo stile è ineguale: efficacissimo, quando non l’intorbidano le argomentazioni e non lo diluiscono certe monotone ripetizioni. Le poesie hanno lampeggiamenti nietzschiani. Il L. simpatizzò molto col movimento futurista italiano nel 1914, e nei suoi libri e nelle sue lettere manifestò a più riprese entusiasmo per l’Italia e per la semplice e istintiva vita dei contadini

VALERY
Antoine Claude Pasquin, detto Valéry (1789-1847)
Scrittore francese nato a Parigi, bibliotecario a Versailles, è conosciuto per i suoi diari di viaggio e le sue Guide, tra le quali “Viaggio in Sardegna”

ENRICO COSTA

220px-Enrico_Costa_2
(Sassari, 11 aprile 1841 – Sassari, 26 marzo 1909)
È stato un poligrafo, considerato il più alto esponente del romanzo storico sardo, sebbene non il pioniere. Filo rosso di tutta la sua carriera artistica, in quanto quella lavorativa è stata quasi totalmente spesa nelle banche sassaresi, è stata la ricerca storica, volta alla conoscenza ed allo studio della Sardegna. Le sue ricerche l’hanno portato ad occuparsi della sua città, della storia, della geografia (curò delle guide dell’isola), degli usi e i costumi dei sardi.
Fra le sue opere più importanti Sassari, una monumentale enciclopedia riguardante la storia della città e fra i romanzi Il muto di Gallura.
Nato a Sassari l’11 aprile 1841 da famiglia di ceto medio, il padre era un musicista genovese che perse fin da giovanissimo e, a soli 15 anni, fu costretto ad abbandonare gli studi per poter lavorare, essendo il primo nato della famiglia. Lavorò così, inizialmente, come infornatore di pane; poi, dopo qualche anno, passò a lavorare presso lo studio di un noto ingegnere sardo, per diventare, in età più matura ma comunque giovane, impiegato bancario. Da allora non lasciò più il lavoro presso le banche, adempiendo diverse funzioni, tra cui disegnatore di banconote, fino ad ottenere, in età più adulta, il titolo di Tesoriere della Banca di Sassari. Nonostante i suoi impegni lavorativi presenti, come abbiamo visto, sin dalla sua giovanissima età, Enrico Costa non abbandonò mai la sua passione per lo studio, interrotto per la perdita del padre. Si impegnò sempre più a fondo specialmente nella ricerca storica, incentrando la sua attenzione sulla sua Sardegna, e compose un abbondante corpus di opere di vario genere, facendo in seguito valere anche la sua importanza come Tesoriere bancario presso la Biblioteca Regia di Sassari, che gli permise di effettuare ricerche specifiche che lo portarono alla composizione della più grande delle sue opere: Sassari. Morì il 26 marzo del 1909, all’età di quasi 68 anni.
L’opera di Enrico Costa è abbastanza vasta e varia. Nel 1863 aveva scritto ilsuo primo racconto Storia di un gatto. Nel 1872 scrisse il libretto dell’opera lirica David Rizio, con musiche del maestro Luigi Canepa, che fu rappresentato per la prima volta a Milano. In seguito alla musica si aggiunse il giornalismo, la poesia, i racconti ed i romanzi. Nel 1875 fondò il periodico La Stella di Sardegna che pubblicò fino al 1886 e nel 1881 il quotidiano “Gazzettino Sardo”, che uscì per soli tre mesi. L’opera più importante resta comunque Sassari, una enciclopedia della sua città nata concernente la storia, l’architettura, le opere d’arte, ecc.
I romanzi, invece, segnano un corpus decisamente più ricco. Come principale e più famoso, data la sua traduzione in lingua tedesca, ricordiamo Il muto di Gallura, storia di Bastiano Tansu, famoso bandito sardo dell’Ottocento che compì una vera e propria strage nel centro gallurese di Aggius. Altri romanzi scritti da Enrico Costa sono Giovanni Tolu, storia di un bandito sardo narrata da lui medesimo, La Bella di Cabras, Paolina e Rosa Gambella.
Fra le caratteristiche principali dello stile dell’autore si può certamente annoverare l’uso di un corretto italiano, sebbene talvolta questo venga “macchiato” con costruzioni grammaticali tipiche del sardo. Talvolta descritto come “farraginoso” a causa dei continui riferimenti alla Sardegna, alla lettura appare comunque abbastanza piacevole, anche per il tono spesso umoristico adottato dallo scrittore. Grazia Deledda, in una sua intervista, dichiarò di “essere discepola d’Enrico Costa”, il che giustifica coloro che lo stimano il più importante scrittore della Sardegna ottocentesca. Gli autori che più influenzarono il suo stile furono certamente Walter Scott ed Alessandro Manzoni, ma aveva un’ampia conoscenza anche di numerosissimi letterati italiani suoi contemporanei ed un’ampia cognizione delle letterature straniere, in particolar modo di quella francese.

 

FRANCESCO CESARE CASULA

7mag_casula

(Livorno, 12 settembre 1933) è uno storico italiano.
Dopo aver frequentato le scuole elementari e medie nella sua città natale, alla morte del padre carabiniere avvenuta durante i bombardamenti americani sulla città, insieme alla madre e il fratello si trasferisce a Cabras nel 1949, frequentando ad Oristano il Liceo De Castro.
Allievo di Ovidio Addis e di Alberto Boscolo, si è laureato in Lettere a Cagliari nel 1959, intraprendendo subito la carriera universitaria e specializzandosi successivamente in Lingue all’Università di Palermo.
Nel 1969 ha conseguito la libera docenza in Paleografia e Diplomatica, iniziando sempre nello stesso anno ad insegnare Storia della Sardegna nell’Università di Sassari.
Dal 1980 è stato professore ordinario di Storia Medievale nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari, fino al 2008.
Membro della Deputazione di Storia patria, ha fatto parte per dieci anni del Consiglio Direttivo della Società degli Storici Italiani e della Commissione permanente per i Congressi di Storia della Corona d’Aragona.
Parallelamente agli impegni accademici, dal 1980 per ventotto anni ha ricoperto a Cagliari l’incarico di Direttore dell’Istituto sui rapporti italo-iberici e dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), con sede in Cagliari e sezioni a Genova, Torino e Milano.
Dal 1985 al 1992 è stato consigliere culturale del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga[2].
Dal 2001 al 2006 è stato componente della Segreteria tecnica per la Programmazione della Ricerca presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) retto dal ministro Letizia Moratti.
È autore di importanti lavori di notevole interesse scientifico di Paleografia e di storia della Sardegna ed ha elaborato nel corso degli anni di ricerca storica la cosiddetta dottrina della statualità, dottrina che rivisita tutta la storia sarda medioevale denunciando l’approssimazione con la quale storici del passato come il Zurita o il Fara hanno tramandato il giudizio storico sugli avvenimenti accaduti nell’Isola.
Considerato nel mondo accademico come un Maestro, è ritenuto uno dei più importanti medievisti italiani. Alcuni suoi allievi hanno insegnato nelle due università sarde.